«Colpa di un gene mutato» [Storia di Natale | cap.3]
Questi i primi 3 capitoli della Storia di Natale dal Caritas Baby Hospital che quest’anno ci accompagnerà lungo tutto l’Avvento. Ogni parte viene pubblicata in coincidenza con le 4 domeniche avventizie. Segui questo racconto di salute, pace e amore!
La speranza vince sempre
Reportage da Betlemme di Andrea Krogmann.
La famiglia Dar Mohammed vive a Dura, nel Sud della Cisgiordania. I tre figli soffrono di Fibrosi cistica. La famiglia, però, affronta la quotidianità con grande forza d’animo e speranza.
>> CAP. 1 «Seguiti da una équipe altamente qualificata»
Qais è seduto, stoico, sul lettino delle visite. Resta impassibile anche sotto la mascherina mentre l’infermiera sta cercando una vena per prelevargli il sangue. Il ragazzino, nove anni, è molto alto, assomiglia in questo a suo padre. Il suo aspetto esile è dovuto in parte al suo quadro clinico: soffre, infatti, di Fibrosi cistica (FC), come del resto i due fratelli Baraa e Ahmed, rispettivamente di 12 e 16 anni. Si tratta di una malattia genetica che produce un muco eccessivamente denso nei polmoni ostruendo i bronchi e causando infezioni batteriche e reazioni infiammatorie. Con terapie adeguate si ottiene un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
L’infermiera preleva due campioni di sangue. Poi Qais salta giù dal lettino e va subito a disinfettarsi le mani con l’alcol. Un contagio da Covid-19 potrebbe infatti avere conseguenze drammatiche sui polmoni già compromessi dei tre ragazzi. Qais «guida» il resto della famiglia nei corridoi colorati dell’Ospedale, che conosce peraltro come le sue tasche; infatti, sono ormai di routine le visite nella struttura. Ad accompagnarli è Rabab Kawwas, l’assistente sociale che ci spiega: «L’équipe è composta da medici, fisioterapisti, una farmacista, una nutrizionista e un’assistente sociale e si occupa dei quasi 120 pazienti affetti da FC nel Sud della Cisgiordania».
Ora scendono al piano di sotto dove li attende la dott.ssa. Nisreen Rumman, l’unica pediatra specializzata in Fibrosi cistica della Cisgiordania. Questa volta sottopone i tre fratelli a un test di funzionalità polmonare. L’insieme degli accertamenti sarebbe costato più di 400 euro. Anche se non sono tra le famiglie più povere e versano regolarmente i contributi per le cure, per i Dar Mohammed si tratterebbe comunque di una cifra notevole: la mamma è insegnante e il papà, lavoratore a giornata sui cantieri. Il salario medio mensile in Palestina è di 360 euro, il Prodotto interno lordo pro capite di poco meno di 2.700 euro. Tocca alla signora Kawwas individuare le situazioni di bisogno delle famiglie. Proprio le visite a domicilio rappresentano un fattore importante. Il team di esperti dell’Ospedale offre anche delle sessioni di approfondimento del tema, conferenze per i genitori, il che favorisce uno scambio di esperienze fra i diretti interessati.
>> CAP. 2 «Ahmed mi ha dato speranza»
Nei primi tempi, Sahar, la mamma, rifiutava di ricorrere a tali offerte perché doveva prima riprendersi dallo shock provocato dalla diagnosi. Non voleva sentire quello che le veniva detto sulle lunghe degenze e sulla morte prematura di questo tipo di pazienti. «Siamo tra le famiglie a cui la diagnosi è stata comunicata con grande tempestività, ma altre si sono ritrovate in situazioni molto peggiori. Ecco perché inizialmente non volevo sapere di quello che mi raccontavano le altre persone», ricorda la donna, oggi trentaseienne. È stato Ahmed, il primogenito, a infonderle speranza, racconta Sahar all’assistente sociale, in visita dai Dar Mohammed, a Dura, nel Sud della Palestina. «Vedendo come cresceva bene mio figlio, pensai di affrontare la situazione senza aspettare che iniziasse la fase di debilitazione che lo avrebbe portato alla morte». Sahar e suo marito hanno superato il trauma iniziale condividendo il loro destino con le famiglie che si trovano nella stessa situazione.
Incoraggiata dal marito Riad, Sahar ha portato a termine gli studi per poi cercare un posto come insegnante. Si è attivata anche per saperne di più sulla fibrosi cistica. Ha letto su internet le testimonianze di pazienti che hanno sui 35/40 anni e che continuano a vivere piuttosto bene. «La conoscenza ha aumentato la speranza», conclude. Da quattro anni Sahar è impegnata in un gruppo di discussione panarabo sulla FC. Oggi, ci dice, «sono pronta a trasmettere la speranza ricevuta dai miei figli».
>> CAP. 3 «Colpa di un gene mutato»
Nei matrimoni fra consanguinei la probabilità che si manifesti la malattia è maggiore. Una parte sostanziale del lavoro al Caritas Baby Hospital sta nel fare opera di sensibilizzazione sui rischi legati a questa tradizione largamente diffusa in loco. La società palestinese sta lentamente cambiando in questo senso. Anche Riad e Sahar sono cugini di primo grado, come del resto tante altre coppie nella loro famiglia. Nella parentela non ci sono stati finora altri casi di Fibrosi cistica. I due coniugi parlano ora con molta franchezza dei rischi legati a questa malattia genetica.
La FC si manifesta in seguito a un gene mutato, identificato sul cromosoma 7. Soltanto se i due genitori sono portatori di questo cromosoma alterato e tutti e due lo trasmettono, il figlio si ammala. In caso di gravidanza, la probabilità è del 25 percento. A Sahar e Riad non sono serviti i calcoli di probabilità. Quando anche sul secondo figlio Baraa sono stati riscontrati i due cromosomi difettosi, Riad e Sahar decisero di compiere un passo veramente insolito nella società palestinese, caratterizzata da famiglie numerose: non correre altri rischi rinunciando a mettere al mondo un terzo figlio. Ma, avendo fatto i conti senza l’oste, a tre anni di distanza nacque il terzogenito, affetto dalla stessa malattia. Oggi Qais, nove anni, sguardo birbantello, aspira il narghilè costruito con le sue stesse mani. Dentro allo strumento, realizzato con una bottiglia vuota, un tubicino flessibile e un po’ d’acqua, si sente un forte gorgoglìo: un vero e proprio allenamento per i suoi polmoni.
Riad e Sahar sono una coppia insolita. Lui ha atteso che Sahar, di dieci anni più giovane, compisse 18 anni per sposarla. Ogni volta che la gente gli suggeriva di cercare una seconda moglie per avere figli sani, lui alzava le spalle, un po’ imbarazzato. Sahar lasciava a lui la facoltà di decidere e oggi la donna continua ad essere l’amore della sua vita. «Preferisco mettere da parte i risparmi per Ahmed, Baraa e Qais che per un altro matrimonio».