Racconto di Natale: Yousef è un bimbo farfalla
Fragili, ma incredibilmente forti
L’«epidermolisi bollosa» è una malattia cutanea, deformante e incurabile, oltre che molto dolorosa. Ad esserne la causa è una mutazione genetica. L’Ospedale pediatrico Betlemme consente a chi ne è colpito – si parla di bambini farfalla – di vivere un po’ di normalità grazie ad un approccio olistico della persona, a una campagna di sensibilizzazione sul tema e alla rete creata per venire incontro alle famiglie.
-Reportage da Betlemme di Andrea Krogmann-
Yousef Sweiti è adagiato su un cuscino del divano e borbotta, felice, fra sé e sé. La sorellina, con la massima delicatezza, gli dà un bacino sulla pancia. Il piccolo, un anno, è fasciato mani e gambe; il visetto è coperto di piaghe incrostate. Ogni minimo sfregamento può portare a nuove ferite: Yousef è un bambino farfalla, e la sua pelle è fragile quanto le ali di una farfalla.
Uno shock alla nascita
La malattia di Yousef era stata individuata già alla nascita: dalle ginocchia alle caviglie, dai gomiti alle mani, la pelle non era perfettamente formata. I genitori, provenienti dal villaggio rurale di Deir Sammit, ad ovest di Hebron, ne erano rimasti traumatizzati. «Causa il parto cesareo, non ho potuto vedere subito mio figlio», ricorda la madre Amani, 34 anni. «Mio marito è letteralmente crollato perché gli avevano detto che il piccolo non avrebbe avuto vita lunga».
Il papà Abdelrahman, 41 anni, però, non si dette per vinto. Conosceva infatti il Caritas Baby Hospital di Betlemme e sapeva che se voleva dare una speranza di vita a suo figlio doveva portarlo lì dove c’era del personale formato ad hoc. Quando il neonato arrivò all’ospedale pediatrico, alla famiglia veniva chiaramente comunicato che, trattandosi di una forma grave, Yousef avrebbe dovuto conviverci tutta la vita. Dopo il ricovero in Terapia intensiva pediatrica iniziavano le cure standardizzate. La diagnosi veniva confermata da un test genetico e le condizioni del piccolo un po’ alla volta si stabilizzavano.
Il neonato trascorse 18 giorni in Terapia intensiva pediatrica prima di essere portato alla mamma. Amani aveva impiegato questo periodo di tempo per prepararsi mentalmente all’incontro con lui: l’Ospedale le era di grande aiuto in questo processo. «È fondamentale mostrare alle famiglie che non sono sole», precisa l’assistente sociale Hiba Sa’di. «Per una mamma è tutt’altro che facile accettare un figlio gravemente malato e deturpato. Deve innanzitutto imparare a toccarlo e trasmettergli amore e tenerezza». Ad Amani veniva così risparmiato lo shock subito invece dal marito.
Cure specialistiche possibili solo a Betlemme
Il Caritas baby Hospital di Betlemme è, in Palestina, l’unica struttura in grado di curare bambini come Yousef. Al momento ne segue una quarantina, provenienti da 35 famiglie. La maggior parte di loro provengono dai dintorni di Hebron, da Beit Fajjar a sud di Betlemme, oppure da Ubeidija, nel deserto della Giudea che declina verso il Mar Morto. In queste località il lavoro di sensibilizzazione fatto dall’Ospedale comincia lentamente a portare frutto. I Servizi sociali interni fanno campagna in tutta la regione sui rischi genetici legati ai matrimoni, del resto molto diffusi, fra consanguinei. «Negli ultimi cinque anni», spiega Hiba Sa’di, «un numero crescente di giovani coppie ha dato il proprio consenso a una mappatura genetica prima del matrimonio». I test genetici sono gratuiti e rientrano nei servizi offerti dall’Ospedale, senza dimenticare la consulenza offerta alle famiglie sul territorio.
Quanto la malattia pesi sulla vita delle persone colpite, dipende anche dalle forme che sono a gravità variabile. «La massima attenzione viene riservata a una meticolosa pulizia della pelle e delle lesioni in modo da evitare le infezioni. Facendo formazione con le madri, limitiamo il numero dei ricoveri», dice Hiba Sa’di. In generale, per due terzi delle persone colpite, la speranza di vita è normale. In Palestina, comunque, prevalgono i casi gravi dove la mutazione
genetica può ridurre gli anni di vita.
La maggiore sfida per le famiglie e per l’Ospedale è l’incognita del futuro: «Quello che giova a un bambino può rivelarsi del tutto inadeguato per un altro. Per ogni terapia esistono tuttavia delle direttive da cui attingiamo», afferma la dott.ssa Hiyam Marzouqa, primaria. Per le mamme e i papà di questi bambini sono di particolare rilievo il networking e il sostegno reciproco fra chi ha casi del genere. Qui intervengono nuovamente i Servizi sociali dell’Ospedale pediatrico.
«Conosciamo le famiglie e le mettiamo in contatto fra di loro», ci racconta Sa’di. In questo modo la nostra struttura assicura sostegno pratico ed emotivo, come succede con i gruppi di auto aiuto in Italia.
Scambio di esperienze e nuove amicizie
Nel caso del piccolo Yousef, l’offerta dell’Ospedale pediatrico si rivela essere una fortuna. «Ci era stato detto che vicino a noi vivevano altre famiglie con gli stessi problemi», ricordano i genitori. Mariam e Samer Darrabi’ di Dura, che condividono lo stesso destino e vantano conoscenze profonde in materia, avendo due dei loro figli maschi, Yasan, 24 anni, e Joud, 5 anni, colpiti dalla malattia. A soffrirne sono anche una sorella di Mariam e un cugino di Samer.
In Italia i casi come questi sono rarissimi. Mariam Darrabi’ incoraggia gli Sweiti a portare a casa Yousef dopo che le sue condizioni si saranno stabilizzate. Ha ancora un ricordo molto vivido della situazione in cui si era trovata, dallo shock della diagnosi e al senso di disperazione che l’aveva colta. Quando è nato Yasan, lei aveva appena 18 anni.
Anche allora i medici dell’ospedale locale non avevano dato alcuna speranza. La famiglia però insisteva affinché il piccolo fosse portato a Betlemme. Le storie di Yasan e Yousef si assomigliano, proprio per questo l’esperienza di Mariam Darrabi’ è così preziosa per gli Sweiti.
Disponibilità e generosità non si sono comunque esaurite nello scambio di esperienze. «Mariam ci è venuta incontro proponendoci di accudire Yousef fintantoché noi non saremmo stati in grado di farlo», ci confessa Abdelrahman Sweiti. Per molto tempo Mariam Darrabi’ si reca dagli Sweiti quotidianamente per aiutare a dare da mangiare, a fare il bagnetto e a cambiare le fasce del piccolo. «Ho insegnato loro tutto quello di cui avevano bisogno», ci dice Mariam Darrabi’, «ora sono in grado di camminare da soli». Le due famiglie continuano a frequentarsi. Il figlio più piccolo di Mariam, Joud, anche lui un bambino farfalla, gioca intanto, con i fratellini di Yousef davanti a casa. Gli adulti non si preoccupano più di tanto: anche i figli sani hanno imparato nel frattempo a capire quello che questi delicatissimi bambini farfalla possono sopportare o devono evitare.
Assistente sociale in veste di mediatrice
Quando i bambini saranno grandi, gestire la malattia sarà più facile. «Crescendo, imparano a capire ciò che a loro nuoce», incoraggia Mariam, e «anche il loro sistema immunitario migliora col tempo». Amani Sweiti ha acquisito intanto così tanta fiducia in sé stessa da voler trasmettere la sua esperienza anche ad altri.
A fare da «mediatrice» fra le famiglie è Hiba Sa’di, dei Servizi sociali dell’Ospedale pediatrico, che le contatta telefonicamente e con regolarità, oppure effettua visite a domicilio. Oltre alle cure, la struttura pediatrica fornisce consulenza distribuendo gratuitamente garze, fasce e farmaci. Considerando che un salario mensile minimo in Palestina corrisponde, circa, a 396 euro, tale aiuto si rivela imprescindibile.
Anche se i bambini farfalla non possono guarire, l’assistenza fornita dall’Ospedale pediatrico rende le loro «ali» incredibilmente forti. Le cure mediche, le terapie e l’assistenza sociale consentono a questi piccoli di «volare» nella vita.
Epidermolisi bollosa: questo è il nome scientifico della malattia provocata da una mutazione genetica. Alterando alcune proteine della pelle, essa ne danneggia struttura ed elasticità. In seguito, la cute della persona interessata è estremamente fragile e basta un nulla perché si lesioni. La sintomatologia viene aggravata da molti effetti collaterali gravi come ad esempio escrescenze sulle dita delle mani e dei piedi e formazione di continue lesioni bollose a livello delle mucose, il che rende dolorosa l’ingestione del cibo e la digestione. Malgrado qualche buon esito terapeutico, fino a questo momento la medicina non è in grado di fornire cure risolutive, ma di intervenire solo sui sintomi.